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Numero chiuso alle università

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Mi ricordo ancora l’enfasi del primo giorno. La prima volta che sono entrato alla Facoltà di Scienze Politiche, il contatto con una realtà completamente nuova, con il mondo dei “grandi”, cosi lontano da quell’ottuso e rigido mondo scolastico che non mi apparteneva più. Di quel giorno mi ricordo, tra le tante cose, una frase che mi disse uno degli studenti: “in questa Facoltà non vi è il numero chiuso, perché noi crediamo che l’istruzione debba essere aperta e libera a tutti”. Era il 2010. Oggi sono passati 4 anni, sono laureato da un bel pezzo e questa frase mi sembra uno stupido slogan retorico. Che cosa è successo nel frattempo?

Probabilmente sono diventato più vecchio e, si sa, quando si invecchia si diventa cinici. O forse sono semplicemente stanco di far parte di quel 41% di disoccupati tra i 18 e i 25 anni, al punto che quasi quasi vorrei tornare indietro e dire al me stesso giovane e idealista “ non farlo!”. Ho studiato duramente, per poi non vedere il frutto dei miei sforzi ripagato, cosi come molti miei coetanei. La domanda che mi pongo io è: che cosa succederebbe se, invece che 200 laureati all’anno per facoltà, ne uscissero 20 o 30? Probabilmente qualcosa cambierebbe. Pensiamo alla semplice regola economica della domanda e dell’offerta: con cosi tante lauree in giro, la laurea ha perso la valenza di prestigio sociale che aveva fino a 30 anni fa, quando una persona laureata era una rarità, e pertanto godeva di un accesso privilegiato al mercato del lavoro. Ora, piaccia o meno, in Italia ci sono sempre più laureati, e il valore di quel titolo di studio si perde sempre di più. Mettiamo in chiaro due cose. Primo, l’istruzione rimarrebbe comunque libera e aperta a tutti, anche con il numero chiuso; le biblioteche sono sempre libere, e con un test ben congegnato la persona avrebbe modo di studiare e documentarsi per i fatti suoi, invece che dover scegliere frettolosamente una facoltà a luglio, col risultato che molte persone cambiano corso di laurea dopo un anno o si disiscrivono perché si rendono conto di non essere portate per l’università. (fosse per me un “gap year” dopo la fine della scuola sarebbe obbligatorio per tutti). Nulla di “fascista”, pertanto, anche se a portare avanti questa battaglia sono spesso i movimenti giovanili legati alla destra e perciò osteggiati dai movimenti giovanili di sinistra (sappiamo come vanno le cose in Italia, non serve che sia io qui a spiegarlo).

Tuttavia, questo sarebbe solo un tampone per un’emorragia ben più grave. Dire che la colpa della mancanza di lavoro sia dei ragazzi che si laureano troppo sarebbe falso e tendenzioso. La verità è che l’Università italiana, come in altri mille aspetti, è rimasta terribilmente indietro rispetto al resto del mondo. Se moltissimi giovani italiani laureati scelgono (leggi: si trovano costretti) ad emigrare, è perché manca la fiducia da parte degli imprenditori nei confronti dei laureati. Quanti di voi si sono sentiti dire “ah sei laureato? E cosa sai fare?” . Non a caso, da un recente sondaggio è stato scoperto che i 30% degli imprenditori crede che un ragazzo fresco di laurea sia pronto per il mondo del lavoro. Questa percentuale sale al 70% tra i professori. E vogliamo parlare della levata di scudi che c’è stata da parte dei “baroni” contro l’insegnamento di interi corsi di laurea in inglese?
Penso che l’insegnamento accademico vada riformato dalle fondamenta. Bisogna rendere i corsi universitari più attinenti al mondo del lavoro, spingere molto più sui tirocini formativi, e, cosa fondamentale, aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo. I nostri professori universitari, purtroppo, hanno per la maggior parte un’età avanzata e vivono in un mondo che ormai non esiste più, e questo rende difficile un possibile cambiamento. In tutto questo, il numero chiuso potrebbe essere una delle tante possibili opzioni per rendere possibile questo cambiamento, ma non certo l’unico e sicuramente non inserendolo in maniera arbitraria senza apportare i cambiamenti di cui sopra. Un mio amico diceva spesso che, se attaccassero i dati di Almalurea riguardanti le percentuali di occupazione a 1,2 e 5 anni dopo la laurea, molti corsi si spopolerebbero. Senza bisogno del numero chiuso.

Giulio Passarella