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#JesuisCharlie


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#JesuisCharlie è l’hastag che ormai da ore gli utenti dei social network utilizzano per lasciare un ultimo messaggio alle vittime dell’attentato di questa mattina alla rivista satirica Charlie Hebdo a Parigi.
Charlie Hebdo è un settimanale satirico francese fondato negli anni ’70 che già nel novembre del 2011 fu bersaglio di un attacco, dopo l’annuncio, a nostro avviso GENIALE, di aver nominato simbolicamente il gran capo Maometto direttore del numero successivo della rivista. A questo gesto di pace da parte della redazione di Charlie, il “fan club” di Maometto ha risposto con il lancio di bombe molotov, temendo che nello scarso sistema di poste francesi ,una semplice lettera di indignazione avrebbe rischiato di andare perduta.

La sede del giornale si trova in Rue Nicolas Appert, nell’undicesimo arrondissement, poco a nord di Place des Vosges e di Bastille.
Come ogni mercoledì alle ore 10 si tiene una riunione di redazione, 2 o 3 uomini in nero (non neri di carnagione, ma vestiti di nero) sono entrati nella redazione chiedendo cortesemente con kalashnikov e lanciagranate in spalla dove fosse il caporedattore e il vignettista, che aveva sbagliato il ritratto di Abu Bakr al-Baghdadi, il loro califfo.
Purtroppo il seguito è noto; 12 morti e diversi feriti: 5 in gravi condizioni.
Tra i morti anche Georges Wolinski, uno dei più celebri disegnatori satirici francesi dell’ultimo mezzo secolo, e Charb, il direttore della rivista.

Ecco ci sono riusciti, il peggior incubo di tutti i razzisti, leghisti e Salvini si è avverato, l’ISIS si prepara ad una guerra! Ci vogliono conquistare! Il mondo Arabo è pronto!

L’Europa che fa? Ma soprattutto che fa l’Italia?

In Europa Marine Le Pen propone un referendum per reintrodurre la pena di morte.

In Italia si schierano, a difesa della patria: Maurizio Gasparri (vicepresidente del Senato), uomo di spessore del panorama italiano e un uomo di un’immensa lungimiranza politica. È un dei pochi che ancora vuole quei famosi F35; afferma: “Qui serve una guerra!”, “Meno soldi per i riscatti e più aerei a colpire le centrali del terrorismo”.
Altro uomo di statura, ovviamente politica, è il leader della Lega Nord Matteo Salvini il quale afferma che “Il nemico è in casa!”, speriamo che questo povero nemico esca presto dalla casa di Salvini incolume.

Ormai è chiaro la terza guerra mondiale si avvicina e a noi, come a Salvini e Gasparri, ritorna in mente la poesia di Brecht facendoci ghiacciare il sangue nelle vene:

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.”

Ovviamente il soggetto, implicito di questa poesia è LO STRANIERO, ebbene sì è la persona diversa, che parla in maniera diversa, che si veste in maniera diversa, che mangia in maniera diversa. Ma diversa da chi?
I 2 o 3 terroristi parlavano un francese perfetto, infatti in uno dei due video che girano su internet si sente che si parlano in questa strana dialettica. Probabilmente questi terroristi sono degli immigrati di seconda generazione, cioè persone nate in Francia da genitori immigrati, quindi francesi.

Non bisogna additare tutti quelli che sono diversi da noi, bisogna condannare con fermezza ed autorità tutti gli atti di violenza, condividiamo in quest’ottica l’articolo scritto da Igiaba Scego, una scrittrice italosomala:
“Oggi mi hanno dichiarato guerra. Decimando militarmente la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo mi hanno dichiarato guerra. Hanno usato il nome di dio e del profeta per giustificare l’ingiustificabile. Da afroeuropea e da musulmana io non ci sto.
“#Notinmyname”, dice un famoso slogan, e oggi questo slogan lo sento mio come non mai. Sono stufa di essere associata a gente che uccide, massacra, stupra, decapita e piscia sui valori democratici in cui credo e lo fa per di più usando il nome della mia religione. Basta! Non dobbiamo più permettere (lo dico a me stessa, ai musulmani e a tutti) che usino il nome dell’islam per i loro loschi e schifosi traffici.”

Bisogna combattere contro questa ignoranza dilagante; fomentata sia dai fondamentalisti islamici, ma soprattutto dai nostri politici, dai nostri vicini di casa e dagli amici.
Ed è così che vediamo le parole di Salvini: “il nemico è in casa”, il poeta, in questo aforisma individua il nemico con la paura, la vendetta, il sentimento razzista che si annida in ognuno di noi e quando si viene a conoscenza di questi fatti oppure quando si parla con qualcuno o quando si sente parlare alcuni politici, riaffiorano. Compito di ognuno di noi ricacciare questi sentimenti indietro e combatterli con lo slogan #Notinmyname!

E adesso?

Secondo Paolo Branca, uno dei maggiori esperti del mondo islamico in Italia ci dice: “Il risultato dell’attacco sanguinario alla redazione di Charlie Hebdo? È che la Francia alla fine avrà una come Marine Le Pen come presidente”. Quindi è questo che ci aspetta nel prossimo futuro, una terza guerra mondiale, i promotori della satira e chi invece la odia. Tra chi ama ridere e chi ama piangere.

E per i vignettisti italiani?
Si autocensureranno?

Per Sergio Staino “Non succederà MAI!” “La nostra molla sono la ricerca della verità, lo sberleffo dei fondamentalisti, il dubbio, l’antidogmatismo. Questi omicidi accresceranno la nostra voglia di contrastare l’oscurantismo”.
Bene allora possiamo dormire sogni tranquilli, i nostri super vignettisti non si fermeranno MAI!

Però l’invito che noi tutti vogliamo lanciare è che durante questo momento terribile, dopo la strage al giornale satirico espressione di cultura libertaria, bisogna fare attenzione a fomentare prese di posizione islomofobe e fascio-nazionaliste, perché si rischia di fare tutta un erba un fascio ed iniziare a coltivare un odio verso una determinata etnia(o razza per chi vuole) di persone.

Vi vogliamo lasciare con un ultima battuta del grande Pierre Despronges

“On peut rire de tout, mais pas avec tout le monde”

V.

Forconi e primavere, un paragone azzardato

Talvolta ci si spinge troppo in là con i paragoni, solo per fare notizia e scalpore. Ma davvero la rabbia può accomunare le proteste delle due sponde del mediterraneo o di altre aree geografiche?

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Spesso e volentieri ci si spinge oltre nel paragonare cose troppo diverse tra loro. La protesta del movimento del 9 dicembre è solo una tra le tante che hanno, e che continuano, a caratterizzare il mondo dei favolosi anni 2000. Eppure continua ad essere accostata a tumulti e insurrezioni diversissimi tra loro, nel disperato e mal riuscito tentativo di comprenderne le origini e le finalità. Come se paragonare bianco e nero servisse a qualcosa per comprendere cos’è e da dove viene il giallo. Le sommosse e le piazze si riempiono con cadenze quasi regolari da nord a sud, da est a ovest senza distinzioni, ma per i motivi più vari. E non sono solo i paesi occidentali, o moderni che dir si voglia, a rendersi protagonisti. Come si può non tenere conto della primavera araba che ha coinvolto tutto il mondo medio orientale? Un avvenimento così imponente e fondamentale da segnare il proprio tempo in maniera più che incisiva.

Le rivolte nel nord Africa hanno portato alla caduta dei dittatori, che da troppi anni gestivano il proprio paese come se fosse il loro giardino. In Siria poi, la rivolta si è trasformata prima in sommossa violenta ed infine in una guerra civile che non riesce a placarsi. Insomma non solo l’Italia, ma il mondo intero è scosso da ogni sorta di movimento e insurrezione che, nella maggior parte dei casi, si portano dietro richieste non molto precise ed eterogenee tra loro. Un po’ come quelle proposte dal movimento dei così detti “Forconi”. Quindi esiste un qualche collegamento tra il movimento, tipicamente italiano, e le sommosse degli altri paesi ed in particolare con la primavera araba? In altre parole, le rivolte sono tutte uguali purché siano guidate dalla rabbia verso le istituzioni ed il potere oppure cambiano col mutare degli scenari e dei contesti nei quali sono inserite?

Cominciamo facendo un po’ d’ordine. La rivolta dei popoli del medio oriente è stata guidata da una richiesta ben precisa: voglia di democrazia e libertà. Il popolo chiedeva di poter uscire, dopo anni di angherie e soprusi, da una situazione di dittatura, di assenza di diritti civili e, in taluni casi, da una completa mancanza dei più fondamentali diritti umani. In paesi come l’Egitto, la Tunisia e la Libia, non esistevano la libertà di stampa, di pensiero e di parola. E chi incautamente tentava di rompere le catene dell’anti-libertà pagava la propria audacia a caro prezzo. In Italia invece, nonostante la crisi, il numero di poveri in aumento, la disoccupazione galoppante e le tasse che non accennano a diminuire, non si può, con tutta onestà, affermare di vivere in uno stato di polizia perenne. In altre parole la democrazia italiana soffre, e pure tanto, ma non è ancora morta. Certo la situazione non è delle più rosee e per certi versi può essere paragonata a quella pre-primavera nei paesi mediorientali, ma le finalità della lotta e le modalità sono radicalmente diverse. I ragazzi di piazza Tahrir lottano per il diritto di critica, per la libertà di dissentire e di cambiare opinione, lottano per un concetto democratico di paese e sono pronti a morire per questo. I ragazzi di piazza Castello lottano invece per la mancanza di lavoro, per l’assenza di un futuro economico solido e per l’assenza di risposte concrete dal mondo della politica. La richiesta di maggiore democrazia è solo un effetto collaterale, successivo alla richiesta di tornare alla ricchezza che caratterizzava gli anni pre-crisi.
Mondi diversi, gioventù diverse, problematiche diametralmente opposte e che, pur forzandole, non possono stare in rima, non nello stesso sonetto della contestazione.

Un secondo punto da sottolineare riguarda il contesto storico-sociale, passato e presente. Il mondo occidentale in generale è caratterizzato da una società estremamente complessa, ricca e super variegata. Che a partire dagli anni ’90 in poi, con l’avvento della globalizzazione, ha spezzato la vecchia logica partitica, basata su formazioni politiche che raggruppavano interessi e valori ben precisi, incarnati inoltre da un ceto sociale chiaramente definito. La società di oggi al contrario è quella che si è resa protagonista della non meglio definita “morte degli ideali”. Concetti come religione, famiglia e politica, un tempo pilastri fondanti, oggi invece si incamminano sulla via del tramonto. E’ quindi possibile assistere alla vincita del qualunquismo e del generalismo dilagante che danno vita a slogan (più che ben voluti) del tipo “né di destra né di sinistra”, esaltando, tra le altre cose, una nuova forma di cittadinanza e di nazionalismo, concetti che fino a poco tempo fa erano considerati più legati allo sport che alla politica.

La società del mondo arabo invece, coltiva ancora dentro di sé un sistema di valori ed interessi fortemente clientelare, particolarista e molto legato alle passate tradizioni. La cultura dei luoghi e delle origini così come la religione giocano un ruolo vitale nella costruzione delle identità dei singoli. Inoltre contribuiscono enormemente nella fondazione delle appartenenze collettive. Prima dell’affermazione politica del singolo si assiste all’accettazione del codice morale, etico e religioso del proprio gruppo. Proprio quest’ultimo tende a soffocare il forte individualismo, l’appartenenza ad un insieme di individui rende il singolo così legato alla comunità da non sentire il bisogno di esprimersi in quanto singolo. Tutto ciò modifica radicalmente la partecipazione politica, perché il singolo si esprime negli stessi modi e linguaggi tipici della propria comunità. Infatti più che di partecipazione sarebbe più corretto parlare di devozione.
Inoltre nei paesi medio orientali  lo stesso concetto di politica è ben diverso da quello prettamente occidentale. In questi paesi infatti non si è assistito alla nascita e allo sviluppo di concetti come lotta di classe, liberalismo, socialismo etc… Anzi, ad eccezione dell’Egitto nasseriano dei primi anni 70, i più semplici concetti di nazione e stato non subiscono alcun processo d’integrazione. Il nazionalismo stesso non esiste, viene letteralmente sacrificato in favore di un concetto molto più complesso e particolare come quello del patriottismo delle comunità.

Davvero ogni rivoluzione è diversa dalle altre? Non c’è proprio nulla che le accomuna? Logicamente dei punti comuni a tutte le insurrezioni esistono. Si possono paragonare modi, linguaggi ed alcune richieste, ma è tutto lo sfondo a mutare. Uno slogan urlato in piazza Castello può lessicalmente parlando essere simile, o addirittura identico, ad uno scandito in piazza Tahrir, o in qualunque altra piazza del mondo, ma è la sua interpretazione a cambiare. Quindi paragonare le insurrezioni non serve a nulla se non a creare scompiglio e aggiungere così disordine al disordine, permettendo l’affermarsi di concetti, nati altrove e per diversi fini, in un paese che non sempre può adattarli al proprio scenario.